La cartolina che proponiamo questa volta, non è un inedito. Sul volume “Cameriere di che scrivere. Cartoline da Arcore”, l’immagine è riprodotta in due pagine (153 e 154), a cui rimandiamo per l’esaustiva descrizione del monumento e delle sue vicende. Rimane per l’esemplare oggi riprodotto, la particolarità della sua colorazione, effetto ottenuto artificialmente, mentre sul volume l’immagine è in b/n. Abbiamo indicato le due pagine perché in effetti sul volume sono riprodotti due esemplari dello stesso soggetto, che “filtrati nel seppia”, perdono le peculiarità di cui si accenna nel testo. Quindi per ristabilire quanto si voleva proporre nel volume, proponiamo di seguito i due pezzi nei loro colori originali.


Ritornando alla cartolina oggetto di questo post, la tecnica utilizzata per la sua realizzazione è la fotocromia, che consisteva nel colorare i negativi in bianco e nero con un complicato processo che nacque in Svizzera alla fine dell’800 e fu utilizzato sino agli anni ’70 del secolo scorso. La realizzazione di queste stampe prevedeva l’utilizzo di diverse, da quattro sino a 16, pietre litografiche e sostanze chimiche in grado di mostrare, alla fine del processo, una versione a colori dell’immagine in bianco e nero. Tecnica che avrebbero dovuto restituire un aspetto più realistico o per lo meno più originale ai vari scorci ripresi. I risultati della cartolina proposta, confrontati con altre immagini, ottenute attraverso lo stesso procedimento, che restituiscono una gamma di colori più pertinente e completa, lasciano intendere una qualità meno accurata ed un numero limitato di pietre litografiche utilizzate nel nostro caso.
La cartolina, una non viaggiata, è stata reperita assieme ad altre due, sempre di Arcore, colorate con la stessa tecnica, che ritraggono una la Chiesa Parrocchiale e l’altra l’ingresso della Villa d’Adda. I pezzi provengono da un fondo di magazzino, dalla tipografia che li produsse. Sul retro dei tre esemplari l’indicazione della tecnica con cui sono stati prodotti: “Tipocromo” dalla tipografia E. Sormani di Milano. L’azienda attiva dal 1892, per opera di Ettore Sormani e Elpidio Giudini, dovette superare una difficile crisi a cavallo tra Ottocento e Novecento, per riprendersi grazie all’iniziativa appunto di Ettore Sormani.

L’attività aveva sede a Milano, prima in piazza Genova, poi in via Cola di Rienzo ed infine in via Cappuccio 2. Ritornando alla descrizione delle cartoline, le prime due sono indicate semplicemente con il numero di cliché e la dicitura “Edizione Riservata”, il monumento ai caduti, al numero 5593-2 segue la scritta “Ed. Ris. Meregalli Erina Via Borgo Milano, 11 -Arcore”.
Abbiamo già incontrato per Arcore gli stessi soggetti, che si completano nella raccolta con una ripresa di Borgo Milano, dove in primo piano si coglie l’esercizio commerciale “Caffè Privativa R” e il distributore della Shell. Ricordiamo come quest’ultima cartolina faccia da copertina al libro, che racconta le cartoline di Arcore. Dicevamo, a differenze di questi quattro esemplari tutti con l’indicazione “Ed. Ris. Bianca Carzaniga Reg. Priv. Arcore”, a cui si accompagna in altra parte della cartolina una data “1933”, i tre soggetti che stiamo raccontando, si collocano un po’ più avanti nel tempo. Possiamo dedurre questa ipotesi appunto dal differente editore, “Meregalli Erina”, che in compagnia del marito Malacrida, gestivano il “Caffè Sport”. L’esercizio era collocato nell’odierna via Casati al 22, dove ancora oggi insite il “Bar Sport”.

I gestori del “Caffe Sport”
Osservando una ulteriore cartolina, proposta nel libro, che risale agli anni cinquanta troviamo i due gestori, ripresi sulla porta della loro attività. E’ verosimilmente a quel periodo che dunque può risalire la cartolina proposta. Per la cronaca di Arcore, ricordiamo una delle figlie dei gestori, che di nome faceva Erinna, con il raddoppio della enne per distinguersi dalla madre, fu direttore didattico della scuola elementare di Arcore e ricoprì più volte la carica di assessore.
Abbiamo inoltre voluto proporre questo soggetto, per dare qualche risalto all’autore del monumento.

Convenzione per la costruzione del monumento
Siamo entrati in possesso di alcune informazioni sull’artista Cirillo Bagozzi (Nozza, 31 dicembre 1890 – Milano, 15 giugno 1970) per l’interessamento di una ricercatrice che attraverso quanto pubblicato sul blog “Scoprilabrianzatuttoattaccato”, relativamente al racconto “L’ultima corsa della tramvia a vapore Monza-Oggiono” ha mostrato interesse per la foto li pubblicata, che ritrae appunto l’inaugurazione del monumento, tanto da volerla utilizzare in vista di una sua prossima pubblicazione.

Da questo contatto lo scambio d’informazioni e materiale, che ora possiamo condividere in questo spazio.
CIRILLO BAGOZZI,
UNO SCULTORE MONUMENTALE
TRA L’ACCADEMIA DI BRERA E LA VALLE SABBIA
di Michela Valotti
Nativo di Nozza, Cirillo Bagozzi è scultore longevo e prolifico, ma ancora poco conosciuto.
La prima notizia d’archivio che ne certifica la frequenza dell’Accademia milanese risale all’a.a. 1911-12, quando risulta iscritto al primo “corso comune”, completato, nel 1914-15 con il “I corso speciale di scultura in seguito ad esame”. Bagozzi è allora poco più che ventenne, ma sicuro interprete degli
insegnamenti ricevuti.
Proprio al 1915 risale la sua prima opera documentata, quella figura incappucciata, rivisitazione del “pleurant” di tradizione medioevale, che decora la tomba di famiglia presso il cimitero di Nozza: la struttura è solenne e flessuosa al tempo stesso, coperta di una lunga tunica che si piega morbidamente
attorno al corpo.
Abile nel modellato, con un forte richiamo ai classici, l’artista sa giocare bene le sue carte: la permanenza a Milano – risulta residente in via Lomazzo, durante la frequenza a Brera – gli consente di agganciare importanti contatti.
La svolta arriva di lì a poco, nel turbine degli eventi che seguono il primo conflitto, durante l’esplosione di quella che la critica definisce “monumentomania”, per la proliferazione di monumenti, lapidi, targhe e pure parchi dedicati ai caduti.
Bagozzi è richiestissimo: tra concorsi pubblici e assegnazioni dirette, la sua carriera è presto punteggiata di occasioni importanti che lo vedono impegnato a rendere omaggio all’eroico sacrificio dei soldati italiani morti al fronte.
E non solo per Milano, dove il suo nome è legato ai monumenti di Arcore e di Peschiera Borromeo, ma anche di Gazzada Schianno a Varese o di Pasturo, in provincia di Lecco. Su tutte spiccano, infatti, le commissioni locali che documentano un’attività qualitativamente fruttuosa.
Si parte con Nave, dove il Comune inaugura, nel 1920, come un vero “memento” per i bambini che frequentano la scuola elementare, un’opera dal sapore “ellenico”, “a gloria perenne dei suoi figli dati alla patria”, tra dispersi e deceduti.

Cirillo Bagozzi
Ma già l’anno precedente, oltre al monumento per Sabbio Chiese, inaugurato l’1 novembre 1919, Bagozzi avvia la realizzazione della guizzante Minerva armata per Vobarno che reca impresso nello scudo lo stemma municipale.
Il filtro della mitologia ben supporta l’idea della vittoria conquistata, contribuendo a sciogliere nelle brume della cultura classica, la sofferenza delle migliaia di madri, più che di spose, che non hanno più potuto riabbracciare i loro cari.
Se l’esempio più eclatante e scenografico Bagozzi lo destina a Leno, nella Bassa Bresciana, per una composizione triadica che vede l’icona della dea Minerva affiancata da due gruppi scultorei, il primo dedicato alla sepoltura del fratello caduto e l’altro alla Vittoria che prostra la barbarie teutonica, non
mancano, per l’alta valle, gli incarichi. A Ono Degno il soldato in divisa che regge una croce si erge sulla sommità di un cumulo di pietre, le stesse allestite a Sabbio per ricordare che la guerra si combatte sulle alture; a Capovalle, invece, lo stesso soldato, dalla sommità del borgo che contempla le retrovie di Monte Stino, è intento a scrutare l’orizzonte, rivolto a valle. Probabilmente realizzati tutti entro la metà degli anni Venti – come il monumento di Sarnico, sul lago d’Iseo – essi testimoniano non solo una notevole abilità tecnica nel trattare i materiali, ma anche una spiccata versatilità ideativa che ne fa uno dei maggiori interpreti di quel filone eroico quanto basta, che non cede alle lusinghe della memorialistica edulcorata, ma semmai, la vira verso la trasfigurazione mitologizzante.
L’ultima fatica dello scultore valsabbino è, appunto, il monumento di Nozza (1968), ancora una volta dedicato ai caduti delle due guerre, in cui campeggia il fraterno e pietoso omaggio del soldato – qui miles senza tempo nudo accademico per eccellenza – al compagno defunto.
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